Un Capitolo di Storia dell'emigrazione Italiana - Argentina

L’emigrazione italiana nel mondo ha rappresentato un tratto caratteristico e peculiare dell’intera storia contemporanea del nostro Paese, configurandosi quale fenomeno di grande intensità, a lungo distribuito nel tempo, variegato per provenienza territoriale e sociale, diversificato per luoghi d’arrivo1.
Tra le numerose destinazioni degli italiani, l’Argentina è stata a lungo meta privilegiata nelle varie fasi dell’esodo nazionale. Si può pertanto affermare che l’emigrazione italiana in Argentina è oggetto di studio complesso ed articolato per modalità e durata temporale, collocandosi nell’arco di quasi centocinquant’anni, tra gli anni Trenta dell’Ottocento e la fine degli anni Cinquanta del Novecento ed interessando circa 3.500.000 individui, provenienti da quasi tutte le regioni d’Italia (soprattutto dal Nord nell’Ottocento e dal Sud nel Novecento), a larga maggioranza di origine contadina, ma presenti in tutti i ceti sociali.
I primi gruppi di immigrati di una certa entità giunsero in Argentina intorno al 18302: erano in prevalenza liguri, del Regno di Sardegna, i quali si impiegavano come marinai nel nuovo Paese, sia per la possibilità di percepire salari più alti di quelli europei, sia per l’opportunità di dedicarsi ad attività commerciali, vendendo i prodotti portati con sé dagli Stati italiani (mercerie, pezze di tessuto a buon prezzo, pettini) nei porti latinoamericani3. E’ ad essi che occorre far risalire i rapporti commerciali tra la futura Italia e la nuova Argentina4. I liguri prosperarono tanto che nel 1855 costituivano per importanza, insieme ad una minoranza di migranti italiani provenienti da altre regioni, il primo gruppo europeo presente nella città di Buenos Aires, il 10% su una popolazione di 100.000 abitanti. Risiedevano
  
prevalentemente nel quartiere portuale della Boca: la comunità, composta da un’alta componente di famiglie, era ben inserita nel tessuto sociale, anche se in posizioni modeste; grazie ai capitali accumulati con il commercio fu possibile in molti casi combinare matrimoni tra i figli di questi primi pionieri dell’emigrazione italiana e gli eredi dell’élite argentina, oppure consentire loro di intraprendere una carriera nel giornalismo, nelle professioni liberali o nelle strutture dello Stato argentino.
Dopo il 1852 l’Argentina inaugurò una fase di apertura e promozione dell’immigrazione, che fu concepita come opportunità di emancipazione dall’arretratezza in cui riversava il Paese e di modernizzazione economico-sociale. Mentre da un lato la Costituzione sancita dalla Confederazione delle province nel 1853 garantiva la libertà d’immigrazione e numerosi diritti per gli stranieri, dall’altro il Governo di Buenos Aires creava una Commissione di Immigrazione finanziata dallo Stato, che dal 1857 si adoperò nella produzione di statistiche migratorie e nell’apertura di un centro di accoglienza per gli immigrati appena sbarcati, l’antecedente del futuro Hotel de Inmigrantes5. Sono questi gli anni delle leggi per la colonizzazione agricola soprattutto delle regioni dell’estrema frontiera - finalizzate a costituire nuclei di popolamento in zone abbandonate dopo la cacciata degli indios nativi6- e della pampas, nonché di un ciclo di prosperità dell’economia argentina, favorita dall’esportazione di prodotti di allevamento, in particolare della lana. La situazione delle prime colonie, fra le quali vanno menzionate quelle nelle province di Santa Fe ed Entre Rios, che accolsero un numero considerevole di immigrati piemontesi, risultò tuttavia molto instabile e precaria7.
Nello stesso periodo l’immigrazione si presentava anche e soprattutto come fenomeno urbano, e si componeva di un nuovo e particolare gruppo di italiani: gli esuli mazziniani e garibaldini, ai quali si deve la nascita del primo giornale e delle prime società di mutuo soccorso, che provvedevano ai bisogni primari degli immigrati (l’assistenza in caso di malattia o di morte), ben presto affiancati da altre istituzioni fondate da figure di spicco della comunità italiana, con finalità ricreative e di socialità, piuttosto che mutualistiche, e da giornali di diverso orientamento politico.
Il 1873 segna l’inizio di una diminuzione del numero annuo di immigrati in arrivo, dovuta alla sfavorevole congiuntura economica
  
mondiale, diminuzione che si protrarrà fino al 1881, nonostante il tentativo di rilancio attraverso la legge di immigrazione e colonizzazione varata nel 1876 dal governo argentino: oltre a concedere molte facilitazioni agli immigranti, fra cui un biglietto gratuito in treno per raggiungere l’interno, prometteva la concessione di terra pubblica8.
Questi primi decenni, tra gli anni Trenta e gli anni Settanta dell’Ottocento, risultarono comunque fondamentali per i movimenti migratori successivi, poiché gli italiani, in prevalenza liguri e piemontesi, riuscirono a creare delle strutture comunitarie (ospedali, banche, imprese, società di mutuo soccorso) in cui avrebbero trovato spazio i futuri immigrati, anche se non sempre in modo vantaggioso, nonché ad inserirsi nella nascente struttura burocratico-amministrativa dello stato argentino9.
2. L’IMMIGRAZIONE DI MASSA
La grande immigrazione iniziò intorno al 1885; per circa dieci anni il numero degli immigrati fu in costante ascesa, diminuendo, poi, in seguito alla crisi del 1890. A partire dal 1905-1906, l’immigrazione riprese la sua corsa, protraendosi con la medesima intensità fino al 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale, raggiungendo le sue cifre massime nel 191310. La punta massima relativa all’emigrazione italiana fu raggiunta, invece, nel 1907, con 127.000 arrivi. Nel complesso, fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, emigrarono in Argentina ben 2.000.000 di italiani11.
All’interno della massa degli immigrati esistevano due correnti,
dalle caratteristiche sociali diverse12: una nella quale predominavano i giovani, in maggioranza maschi, di origine rurale13, che si fermavano nelle città, dedicandosi ad ogni sorta di mestieri, oppure si occupavano in lavori agricoli stagionali, come il raccolto o la tosatura delle pecore14; l’altra costituita da gruppi familiari, che viaggiavano insieme o separati (prima i maschi, a seguire le donne con i bambini) 15, che lavoravano prevalentemente nelle colonie agricole. Chi emigrava era
  
spesso chiamato dai familiari o dai compaesani che si erano già stabiliti in America16: seguiva, cioè, meccanismi a “catena”17.
Tra le fila dell’élite argentina l’immigrazione in massa degli italiani suscitò dapprima preoccupazione, poi un vero e proprio allarme. Le ragioni di questa situazione erano molteplici: innanzi tutto il peso enorme degli italiani sul flusso totale degli immigrati; gli italiani intimorivano, poi, per la solidità delle loro strutture associative e la capacità di mobilitazione in occasione di feste e celebrazioni patriottiche, o la partecipazione a manifestazioni in appoggio a determinate scelte dei governi argentini; non da ultimo le apprensioni erano legate anche all’idea di minaccia sociale che si diffondeva tra le élites già inserite a pieno titolo nel tessuto sociale18. A questo proposito si può ricordare come il romanzo naturalista argentino tentò di stigmatizzare la possibile incorporazione degli italiani e dei loro figli nell’élite argentina, in racconti come “Las multitudes argentinas”, di José Ramos Mejìa, nel quale l’autore affermava che il cattivo gusto era la condizione naturale che gli italiani portavano con sé: era l’odore di stalla, sia riferito all’origine contadina degli italiani, sia inteso in senso metaforico in relazione all’attività lavorativa che essi svolgevano: erano come buoi arrivati lì per faticare. Secondo Mejìa, dunque, spettava all’élite argentina il compito di “civilizzare” gli immigrati italiani e non certo il contrario. Nonostante gli italiani non fossero molto amati in Argentina, tuttavia, in quanto bianchi ed europei, erano comunque preferiti ai nativi o ad altri particolari gruppi di immigrati, come russi o balcanici19.
In coincidenza della crisi economica che colpì l’Argentina nell’ultimo decennio del XIX secolo, si verificò un calo degli arrivi nel Paese ed un aumento dei rientri in Italia; gli immigrati già inseriti in Argentina persero i risparmi accumulati negli anni precedenti; diminuì l’immigrazione settentrionale e crebbe quella meridionale e quella proveniente dalle Marche; scese il numero degli agricoltori ed aumentò quello dei lavoratori giornalieri, di coloro che si dichiaravano senza professione e degli artigiani (tendenza questa, che si accentuerà negli anni successivi).
Il censimento nazionale argentino del 1895 rilevava che gli italiani presenti nel paese erano il 12,5% di tutta la popolazione totale, cioè un numero pari a mezzo milione; fra loro c’erano 179 uomini per ogni 100 donne; erano presenti in tutti i gruppi socio-professionali:
  
tra gli operai e tra gli imprenditori, tra i proprietari terrieri e tra i braccianti, tra i proprietari di case e tra i locatari, tra i lavoratori a giornata e tra i professionisti21.
In questo periodo si affermava lentamente da un lato l’esigenza, da parte dei dirigenti del nascente movimento operaio e delle nuove forze politiche di sinistra, di sviluppare la coscienza di classe e l’inserimento degli immigrati nelle forme organizzative operaie; dall’altro la questione della nazionalizzazione degli immigrati e in particolare dei loro figli, da parte dello Stato argentino. Le élites argentine tentarono di trasformare i figli degli immigrati italiani in “argentini” attraverso un’aggressiva politica di integrazione nazionale, che si armò di tre principali strumenti: la legge sul servizio militare obbligatorio (1901), il voto obbligatorio (1912) e l’educazione patriottica, impartita nelle scuole pubbliche22. L’esito fu positivo, come mostrano numerosi esempi citati anche dalla coeva stampa italiana: non solo i figli degli italiani erano ben integrati nella società argentina, ma a volte si dimostravano i più accaniti nell’osteggiare i propri connazionali23. Questo fenomeno fu dovuto anche al fatto che il rapporto tra la nuova generazione e la cultura d’origine era più ambiguo, perché non vissuto ma recuperato tramite la mediazione principale dei genitori e dei parenti: i figli degli immigrati non solo non appartenevano alle associazioni e non leggevano i giornali italiani, ma avevano anche perso i contatti con la lingua dei genitori24.
Nel 1914 fu realizzato il terzo censimento nazionale argentino, che fornì una descrizione piuttosto dettagliata degli italiani emigrati nel Paese: confermava la superiorità numerica del gruppo italiano, attorno a 930.000 unità, pari al 12% della popolazione; c’erano 172 uomini per 100 donne; persisteva un’elevata presenza maschile, da attribuirsi con probabilità sia alla meridionalizzazione del flusso, cioè ad una maggiore presenza di lavoratori con un’alta percentuale di ritorno, sia al fenomeno dell’immigrazione golondrina (di rondini) a predominanza settentrionale, che interessava quei lavoratori stagionali che si recavano nel Paese in occasione della mietitura.
Gli italiani presentavano un tasso di analfabetismo pari a quello dei nativi (36%) ma erano più urbanizzati degli argentini: si concentravano soprattutto nelle città nelle quali vi era stato un.
Inserimento precoce (Buenos Aires, Rosario, La Plata), ma predominavano anche nelle aree rurali di recente o antica colonizzazione, come la pampa gringa. Gli italiani contavano il maggior numero di istituzioni censite (463), che avevano il più alto numero di membri, ed erano a maggioranza maschile. I comportamenti nelle scelte matrimoniali evidenziavano un’elevata endogamia, in particolare femminile, perché le donne avevano più opportunità di scelta, data la maggiore presenza di individui di sesso maschile e spazi più ristretti di socialità al di fuori della cerchia di parenti e amici. Per quanto riguarda l’inserimento spaziale gli italiani risultavano ben distribuiti su tutto il territorio. Avevano una buona leadership, istituzioni comunitarie forti che interagivano con il potere politico argentino e con i gruppi economici locali25.
Gli immigrati italiani di quegli anni si inserirono in una società plurale ed eterogenea, con un livello di conflittualità interno basso, favorito anche da un mercato del lavoro molto fluido e dalla possibilità di espansione urbana.  
DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE 
A seguito del primo conflitto mondiale si produsse una brusca interruzione del movimento migratorio, non solo italiano, ma più in generale europeo; inoltre, tra il 1915 e il 1917, aumentarono i rientri al paese d’origine: molti italiani tornarono in patria per arruolarsi nell’esercito, mentre altri lo fecero per essere vicino alle loro famiglie.
Al termine della guerra la situazione si presentava difficile e conflittuale, a causa dell’elevato tasso di disoccupazione, collegato alla crisi in cui riversava l’industria argentina. E’ in questo contesto che ebbero luogo le grandi sommosse che culminarono nella “settimana tragica” del gennaio 1919: allo sciopero degli operai metallurgici a Buenos Aires, seguì l’azione repressiva del governo, cui si affiancarono una serie di rappresaglie condotte da sedicenti ‘patrioti’ principalmente nei confronti degli immigrati ebrei, accusati di tramare a favore della rivoluzione bolscevica28. Nonostante gli italiani non fossero perseguiti particolarmente, la sommossa ebbe degli effetti negativi per l’immigrazione, poiché il governo introdusse i primi provvedimenti restrittivi: per entrare nel paese diventava; 
necessario possedere un passaporto con foto e dei certificati, rilasciati dalle autorità di polizia o comunali, che attestassero la mancanza di precedenti penali, la non mendicità e la sanità mentale. Tale politica di controlli si intensificò negli anni successivi , con un decreto del 1923 e le leggi emanate nel 1930, nel 1932 e nel 1938, che introducevano l’obbligo per gli emigranti di documentare l’esistenza di un contratto di lavoro e sottoponevano la concessione del permesso di sbarco all’arbitrio delle autorità argentine, anche nel caso in cui vi fossero tutti i requisiti. 
All’emigrazione italiana posero un freno sia le leggi fasciste promulgate nel 1927, sia la crisi mondiale del 1930, causata dal crollo della borsa di New York. Le conseguenze furono importanti: in quegli anni progredì notevolmente l’integrazione sociale. Il calo degli arrivi di nuovi immigrati tolse linfa vitale alle associazioni italiane, già provate dalla concorrenza delle strutture sanitarie pubbliche e i matrimoni diventarono più esogamici: si registrò un aumento di unioni tra i figli degli emigrati italiani ed altri discendenti europei.
Nel mondo della politica entrarono nuovi soggetti, fra cui figli di italiani; anche nella chiesa e nell’esercito si aprirono spazi nuovi per la seconda generazione di immigrati. Se riguardo alla mobilità sociale degli italiani tra le due guerre mancano dati certi, si può tuttavia riconoscere un avvenuto consolidamento delle classi medie di origine italiana, grazie all’incremento del numero di dipendenti statali.
Non va dimenticato però che, a fronte di un buon inserimento degli italiani nella società del tempo, i pregiudizi contro di loro continuavano a persistere.
Il periodo tra le due guerre si caratterizza anche per l’arrivo di un nuovo contingente di immigrati: gli italiani esuli dall’Italia fascista a seguito delle leggi razziali del 1938. Tra i soggetti che componevano questo particolare gruppo di emigranti vi erano scienziati, intellettuali, imprenditori e manager. Essi dovettero scontrarsi con i numerosi ostacoli frapposti al loro ingresso dai funzionari argentini e non sempre riuscirono ad inserirsi nel nuovo contesto valorizzando le proprie competenze: molti furono obbligati a svolgere i lavori più umili e persino chi aveva una lunga carriera accademica alle spalle non sempre trovava posto nelle Università del Paese29. Gli esuli politici italiani continuarono, in tal modo, l’antica tradizione di emigrazione e azione politica in Argentina, iniziata negli anni Ottanta del XIX secolo dai mazziniani e dai garibaldini.
  
La politica fascista in Italia produsse, tuttavia, altre conseguenze: innanzi tutto la formazione in Argentina di ulteriori associazioni e movimenti politici tesi a sensibilizzare la comunità degli immigrati e la società tutta sulla situazione politica europea; in secondo luogo l’elaborazione di un discorso fascista volto a modificare l’immagine dell’emigrante, da non considerarsi più immigrato, ma italiano all’estero, e a conferirgli nuova dignità; in terzo luogo la fascistizzazione delle organizzazioni autonome degli immigrati, quali i circoli e le società di mutuo soccorso, ben presto sostituite con i fasci, i dopolavoro, le scuole italiane, che si limitarono a diffondere tra gli immigrati nuove forme di ritualità patriottica, piuttosto che un vero e proprio sentimento di adesione all’ideologia fascista.
In generale si può affermare, però, che gli immigrati italiani mostrarono di essere poco interessati al dibattito politico, che riguardava solo in parte i ceti medi e popolari urbani, e che a fronte di un relativo successo degli ideali fascisti nell’ambito dell’élite formata essenzialmente da imprenditori, vi furono nette prese di posizione antifasciste fra gli eredi dei movimenti socialisti e anarco-sindacalisti sorti a fine Ottocento, i nuovi partiti comunisti e le comunità degli esuli politici e religiosi.
Questa nuova immigrazione e le idee espansionistiche del governo italiano, destarono non poche preoccupazioni in Argentina, la cui classe dirigente corse ai ripari inasprendo le misure di controllo dei movimenti migratori diretti nel Paese e sviluppando un acceso dibattito sulle conseguenze politiche e culturali dell’immigrazione e sulle modalità di selezione degli immigrati. Si diffondeva l’idea che i gruppi immigrati fossero stati di ostacolo alla crescita della nazione, a causa delle resistenze nei confronti dell’assimilazione linguistica e culturale, dovute alla loro tendenza a creare reti di reciproca solidarietà. Occorreva pertanto limitare l’immigrazione di quei gruppi nazionali o religiosi che manifestassero una maggiore continuità culturale, cioè un maggior grado di diversità.
Queste argomentazioni, tuttavia, non si tradussero in norme palesemente discriminatorie e in leggi xenofobe e razziste, come le coeve norme giuridiche europee fasciste e naziste, e i pregiudizi nutriti nei confronti degli italiani immigrati non si trasformarono mai in aperta persecuzione30. Gli italiani continuarono negli anni successivi ad essere considerati integrabili, in primo luogo perché visti come: (manovalanza)
La nave: una storia di emigrazione in Argentina


--Gli emigrati italiani in Argentina sono tanti, e di conseguenza tante sono le storie. Tutte queste persone, comunque, sembrano avere provato più o meno le stesse emozioni, e sperimentato le stesse illusioni e delusioni quando l´Eugenio C arrivò nel porto di Buenos Aires...

--A raccontare questa storia sono io, la figlia di Germana Fabbri, che è originaria di Sogliano sul Rubicone, provincia di Forlì. Quando lei a quindici anni, assieme a due sorelle più piccole e alla loro mamma, cioè mia nonna Dalmina, è dovuta partire dal suo paese, tanti erano i dubbi e allo stesso tempo le speranze riguardo a un lontano paese sconosciuto del Sud America. La decisione era stata presa da mio nonno Claudio qualche anno prima. Il dopoguerra era difficile e anche la guerra non era stata facile, con tre figlie piccole da allevare. Tutto sommato sembrava che l’orizzonte promettente si trovasse oltre l’Italia. Storie di emigrati precedenti confermavano questa idea, come pure i convegni tra gli Stati favorevoli agli immigranti, quale quello del presidente Perón, che permetteva di unire i contributi lavorativi italiani a quelli da versare in futuro in Argentina, in modo che i primi non venissero persi. L’America era tutta da costruire e le promesse erano grandi. Fu così che nonno Fabbri partì per l´Argentina e dopo qualche tempo chiamò il resto della famiglia a raggiungerlo.




--La nave sembrava grandiosa e imponente al porto di Genova. I bagagli erano tanti... appena sufficienti però per incominciare una nuova vita oltre l’oceano. Mia madre portava addosso un’acquamarina che le aveva regalato il suo ragazzo come ricordo. Ancora oggi la porta come ciondolo!
Germana, che allora aveva quindici anni, non dimenticherà mai la fermata in Brasile. Dopo anni di scarsità e disagi, trovarono tante banane! Gialle, grandi, caschi e caschi di banane che non finivano mai!
--Finalmente arrivarono al porto di Buenos Aires. La prima emozione provata è stata la delusione. Il paesaggio sembrava troppo piatto, con l’acqua "color leone" (caratteristica del fiume Rio de la Plata, che porta giù terra e sabbia nel suo percorso), e la città sembrava non avere niente di gradevole alla vista, per l´occhio abituato alle città italiane. Man mano, però, la prima sensazione sarebbe stata superata da altre migliori.
--Tempo fa parlavo con un’altra immigrata italiana in Argentina. Mi diceva che l’immagine iniziale del porto è rimasta scolpita lì nella sua mente per sempre... forse questo è il ricordo comune nell'esperienza di emigrare.

Post popolari in questo blog

Comemoraciòn a los 100 años

Il 2 giugno 1946 nascita Repubblica